Nuoto nel Triathlon - Nicola Palladino Triathlon

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Nuoto nel Triathlon

Il   costo energetico di un atleta che pesi 70 Kg che corresse un  chilometro è di  circa 70 Kcal. Nuotare lo stesso chilometro costa, ad  un atleta che avesse la  stessa economia del primo, circa 280 Kcal.  Perché c’è una tale differenza? La  risposta è negli attriti: l’acqua è  quasi 1000 volte più densa dell’aria, una  formidabile barriera per la  nostra forma corporea.
   
Sfortunatamente  non ci sono  stati dati una forma ed un istinto che sono propri dei  pesci; siamo esseri  terrestri, e cerchiamo di applicare ciò che  funziona nel nostro mondo anche  nell’acqua. Queste nostre capacità,  però, raramente sono efficaci nel mondo dei  pesci. Per diventare  nuotatori efficienti, occorre cambiare il modo di pensare  al movimento  in acqua.
 
Per   assegnare un ordine di grandezze, uno sprinter che nuoti alla velocità  del  record del mondo sui 100 m (circa 8 Km/h) utilizza una potenza di  circa 1000 W.  Ci sono pesci che sono capaci di nuotare a 110 Km/h (la  velocità di un  ghepardo), con un consumo energetico spaventosamente  ridotto. Una balenottera  azzurra da 100 tonnellate, alla velocità di  crociera di 30 Km/h, dovrebbe  impiegare circa 350 W, eppure ne utilizza  meno di 70 (calcoli dei fisici della  Georgia Tech University).
Essenzialmente,  ci sono due modi per essere più veloci in  acqua. Il primo è diminuendo  l’attrito allineando al meglio il corpo. Il secondo  è aumentando la  propulsione migliorando il funzionamento aerobico ed anaerobico.  Di  questi due, studi scientifici hanno trovato che la riduzione  dell’attrito ha  il potenziale di produrre i maggiori guadagni.  L’attrito è la forza che produce  rallentamento, provocato dalle  turbolenze che si generano intorno al corpo  quando questo si muove  nell’acqua. Più il corpo è allineato, minore è il valore  delle forze  d’attrito.
Un   autorevole studio stima che l’opportunità di miglioramento delle  prestazioni  ottenibile lavorando unicamente sulla posizione in acqua è  superiore al doppio  di quanto sia mai raggiungibile con un lavoro  indirizzato unicamente sulla parte  propulsiva, e ciò sarebbe  particolarmente vero tra i triathleti. Il nostro  istinto da animali  “terrestri” ci suggerisce il contrario, e perciò sprechiamo   innumerevoli ore in piscina soffrendo per raggiungere una forma fisica  ottimale  per combattere contro gli attriti, dando poca o  nessun’importanza alle capacità  tecniche necessarie per nuotare davvero  al meglio.
Sulla   terra, istintivamente sappiamo che per correre più velocemente  dobbiamo muovere  le gambe più velocemente, e così ci portiamo questa  “conoscenza” in acqua. Il  problema è che questa soluzione in acqua non  paga. Più velocemente muoviamo le  braccia e più l’acqua lavora contro  di noi. La soluzione è lavorare sull’altra  variabile, aumentando la  lunghezza della bracciata o, per molti triathleti,  diminuire la  frequenza delle bracciate. Di nuovo, ricerche scientifiche hanno   mostrato che i nuotatori che producono i migliori risultati in termini   velocistici e d’economia del gesto sono quelli che hanno la bracciata  più lunga.  Un buon indicatore del miglioramento nell’economia del gesto  del nuoto è il  numero di bracciate che occorre per nuotare una vasca.  Ridurre quel numero è il  modo più sicuro per nuotare verso il proprio  record personale su ogni  distanza.
Sviluppiamo  l’abitudine di contare le bracciate per ogni  vasca, e poniamoci  l’obiettivo di farne il 10% in meno. Una volta che ci siamo  riusciti,  il che è possibile solo lavorando sull’efficienza tecnica piuttosto  che  sulla forma fisica, cerchiamo di prolungare il tempo per il quale  possiamo  mantenere quel conteggio. Una volta che riusciamo a farlo per  oltre 2’, vuol  dire che è giunto il momento di darci un nuovo obiettivo  nel conteggio delle  bracciate, e così si ricomincia daccapo.
Il   percorso migliore per nuotare tempi migliori viene dall’ottimizzare le  capacità  che ci consentono di ridurre gli attriti, in modo da essere  più scorrevoli e  simili ai pesci, non dall’aumentare i metri delle  proprie sedute o la  propulsione che non farebbero altro che rendere  sempre più dure le battaglie con  l’acqua. Invece di provare a  soverchiarla, cerchiamo di sviluppare la capacità  di scivolare in essa  sprecando una quantità minima d’energia. Il modo migliore  per ottenere  queste capacità sarebbe di avere un coach capace e lungimirante a  bordo  vasca, ma ciò non è sempre sufficiente. Occorre che ognuno di noi  sviluppi  la giusta sensibilità.
La  riduzione degli attriti
Probabilmente  Terry Laughlin è la più grande autorità in  fatto di studi sui  nuotatori e sugli attriti che attualmente ci sia negli USA.  Attraverso i  suoi studi e pubblicazioni, promuove il concetto che il nuoto si  basi  su tre concetti, fondamentali per ottimizzare l’avanzamento in acqua. Il   successo di chi ha seguito le sue analisi sono sotto gli occhi di  tutti: basta  chiedere a Popov, Thorpe e Phelps. Di seguito riporto  quali siano i tre principi  di base ed un esercizio per ognuno di essi.
 
·        Nuotare “in discesa”.  La lamentela  più comune, in particolare tra i triathleti, è che non  sentono un ottimale  galleggiamento. In effetti, ciò che affonda sono le  gambe e le anche, perché la  parte superiore ha una galleggiabilità  dovuta a vaste sacche d’aria (polmoni, in  primis, e tutti gli organi).  Quando la parte inferiore del corpo affonda,  aumenta la superficie  d’attrito frontale perché una maggior percentuale del  corpo è esposta  al flusso d’acqua che sopraggiunge in direzione opposta. Così  come  l’aerodinamica sulla bici richiede una diminuzione delle superfici   frontali, allo stesso modo l’idrodinamica è ottimizzata se la superficie   frontale è minima.
 
Ciò  che controlla la posizione di  anche e gambe relativamente alla  superficie dell’acqua è la testa. Quando la  testa si solleva, le gambe  affondano. Così, se si nuota con la testa che guarda  in avanti, le  gambe e le anche si abbassano e non passano più attraverso il   “cilindro” che il busto ha creato nell’acqua: un po’ come portarsi  appresso  un’ancora! L’unica possibilità per aumentare la velocità è  lavorare sulla  propulsione, generando ancor più attrito.
 
Se,  comunque, si abbassa la testa  appoggiandosi sul torace, le anche e le  gambe si solleveranno seguendo il torace  nel cilindro. Quando fatto  correttamente, solo una piccola porzione della testa  sarà al di sopra  del pelo dell’acqua, come i glutei. Questi sono i segnali che  si sta  nuotando “in discesa”, e ciò potrà essere confermato da un osservatore a   bordo vasca o da un videotape, che possono testimoniare la differenza  tra la  posizione normale e quella inclinata in basso.
Imparare  ad appoggiarsi sul torace  –“spingere in basso la boa”, come dice  Laughlin- è la capacità più importante da  conseguire nella tecnica del  nuoto. Finché questo aspetto tecnico non sarà  completamente acquisito,  non ci sarà alcun motivo per andare avanti verso nuovi  esercizi. Un  modo per sviluppare questa sensibilità è nuotando a SLgambe una  vasca,  senza la tavoletta, con le braccia lungo il corpo. Quando si sta   avanzando in questa posizione, occorre mantenere la testa guardando  verso il  fondo mentre ci si inclina verso il basso appoggiandosi sul  torace (la “boa”),  cercando di spingerlo verso il basso. Quando si  alzerà la testa in avanti per  respirare, si può notare l’immediato  affondamento di anche e gambe, ma si potrà  riportarle in orizzontale  riassumendo la posizione di partenza con il busto e la  testa inclinati  verso il basso.
·        Nuotare “come un coltello”.  Sulla  terra, noi mammiferi avanziamo tenendo la linea delle spalle  perpendicolare alla  direzione di movimento. Ciò funziona al meglio  nella meno densa aria, ma  nell’acqua ciò provoca un maggiore attrito  perché la superficie frontale è  massima. Nuotano di lato, come fanno i  pesci, si spreca meno energia e si va più  veloci. Questa posizione,  inoltre, consente di utilizzare al meglio i potenti  muscoli dorsali  (latissimus dorsi): perciò si ottiene il doppio beneficio di  produrre  minore attrito e di aumentare la forza propulsiva.
Nuotare  di lato richiede il rollio  di anche e spalle intorno alla colonna  vertebrale. Tale manovra deve essere  avvertita come se ci si dovesse  girare sulla schiena, e ciò risulta innaturale:  richiede un po’ di  pratica perché ci si abitui. Un esercizio per migliorare il  comfort  nella posizione laterale è “ombelico verso la parete”. Si nuota, cioè,   una vasca a SLgambe distesi, per esempio, sul lato sinistro, col braccio   sinistro disteso in alto ed il braccio destro sul fianco. La nuca è  spinta verso  il bicipite del braccio disteso sinistro ed il viso è  ruotato verso l’alto. La  vasca successiva si cambierà posizione,  distendendo il braccio destro. Sempre  ricordarsi di spingere il torace  (la “boa”) verso il basso: eseguire un  esercizio non esclude  l’attenzione dai precedenti! Una volta che ci si sente a  proprio agio  nella posizione laterale, si potrà provare a rullare da una parte   all’altra, cambiando posizione ogni 3”: quando lo si fa, si deve portare  il  braccio dall’anca su per il fianco molto lentamente, in modo da  poter notare  come cambi il galleggiamento del corpo mentre il braccio  si muove. Una volta che  questo è arrivato all’altezza della spalla, si  rulla in posizione prona facendo  partire il movimento di rollio dalle  anche, per portare entrambe le braccia  distese in alto. Si mantenga la  posizione per 3” concentrandosi sempre sulla  spinta in basso di testa e  torace e poi, nuovamente facendo partire il movimento  dalle anche, si  potrà rullare sull’altro lato ove si sosterà per altri 3”, e  così via.
·        Nuotare “più alti”.  Guardando i  nuotatori d’elite, un aspetto appare subito evidente: essi  estendono  completamente mano e braccio dopo l’entrata in acqua nella  fase di presa, e ciò  permette loro di nuotare a grande velocità con  bracciate che appaiono lunghe,  mai affrettate. Ciò risulta in una  frequenza di bracciata più bassa ma in uno  sviluppo metrico superiore  il che, come visto, è associato ad attriti minori ed  economia  ottimizzata. Inoltre, la gambata parte dall’anca, con un piegamento   minimo del ginocchio, allungando ulteriormente la loro posizione in  acqua. Ciò,  tra l’altro, permette loro di ridurre l’attrito facendo  rimanere le gambe  all’interno del cilindro descritto in precedenza.
Nuotare  con una bracciata lunga,  che includa una fase di scivolamento e di  presa mentre si rimane su un fianco  richiede una pratica costante  perché ciò diventi un’abitudine. Il conteggio  delle bracciate per ogni  vasca, cercando di ridurre il numero, è un modo per  controllare quanto  bene si stia facendo. Un esercizio per cercare di ottimizzare   l’allungamento in acqua richiede che si nuoti una vasca, SL alternato,  usando  solo un braccio mentre l’altro è interamente disteso nella  posizione di presa.  Quando il braccio propulsivo inizia la sua  bracciata, si rolli sul fianco come  nell’esercizio descritto in  precedenza, allungandosi in alto il più possibile  con il braccio fermo.  Al termine della bracciata, la mano in recupero tocca  quella che è  rimasta ferma mentre si rolla in posizione prona. A questo punto  inizia  la bracciata l’arto che era rimasto fermo in precedenza. Tale esercizio   viene detto “catch-up”. E’ fondamentale che si continui sempre a  spingere testa  e torace verso il basso durante tutto lo sviluppo della  bracciata, anche quando  si è distesi su di un fianco.
L’allenamento del nuoto
 
Come   sarebbe fondamentale comprendere prima possibile, occorre cambiare il  modo di  vedere l’allenamento del nuoto, considerandolo più come una  serie di “pratiche”  che di “lavori”. Così come i golfisti passano ore  cercando di perfezionare lo  swing ed i tennisti ripetono all’infinito  il servizio, i triathleti dovrebbero  dedicare una quantità di tempo  considerevole alla rifinitura della tecnica, con  esercizi ma  soprattutto con una grande concentrazione sugli schemi motori  corretti.  Ci sono due modi per guardare alla distribuzione del tempo da dedicare   in piscina agli esercizi di tecnica. Uno è stagionale ed ha a che fare  con  l’introduzione di una fase in cui le sedute di nuoto siano quasi  unicamente  tecniche, fase da introdurre all’interno del piano annuale  d’allenamento. Un  altro modo è l’inserimento degli esercizi all’interno  di una data  sessione.
·        Periodizzazione.  Il periodo  Introduttivo è il momento dell’anno in cui si può lavorare  esclusivamente sulla  tecnica. L’obiettivo da perseguire è di correggere  ogni errore nella bracciata  che possa essersi inserito nella dinamica  del gesto, tornando agli esercizi di  base come quelli descritti,  rendendoli via via più complessi. E’ anche un  momento favorevole perché  si effettuino dei videotape per l’analisi del gesto.  Nella fase di  preparazione di Base, mentre si sta lavorando sulle capacità di  base,  occorre continuare a prevedere una buona mole di lavoro tecnico: i   triathleti più carenti possono dedicare anche oltre il 50% del loro  tempo in  acqua al lavoro tecnico. Quando l’intensità aumenta nelle fasi  Pre-Agonistica ed  Agonistica, occorre prestare una grande attenzione a  che la buona meccanica di  bracciata sviluppata nei mesi precedenti non  vada a deteriorarsi, nella ricerca  di spingere la velocità a livelli  più alti. Nella maggior parte dei casi ciò  provoca un ritorno ad una  frequenza di bracciata più elevata, perché questo è  l’insegnamento del  nostro istinto da terrestri. Si deve costantemente rivedere e   rinfrescare la memoria muscolare inserendo esercizi di tecnica in ogni  sessione  in ogni momento dell’anno.
·        Sessione per sessione.  Il momento  migliore per eseguire gli esercizi di tecnica è quando si è  freschi, all’inizio  di ogni pratica. Sviluppare nuovi schemi di  reclutamento di fibre muscolare  significa riuscire a trovare l’armonia  affinché ogni muscolo sappia contrarsi e  rilassarsi con il corretto  timing perché si verifichi il movimento desiderato.  Se anche uno solo  di questi muscoli è affaticato, questo si rifiuterà di  lavorare, o lo  farà con una non ottimale successione di tempi di  lavoro-recupero,  frustrando il nostro sforzo di migliorare la tecnica.  All’inizio di  ogni sessione, dopo un breve riscaldamento, muscoli e sistema  nervoso  sono recettivi al massimo per imparare nuovi movimenti.
Verso  la fine, quando la fatica  generale del corpo e locale di ogni muscolo  iniziano a fare la loro comparsa, la  concentrazione sulla tecnica  corretta è fondamentale per migliorare. Non c’è  alcun valore nel far  pratica su un gesto corretto per poi abbandonare tutto ciò  per cui si è  lavorato quando la parte di allenamento vera e propria  inizia.
La  totale devozione al cambiamento  è necessaria perché si migliori.  Occorre essere preparati ad un iniziale  scadimento nella prestazione e  nella fiducia nella bontà di ciò che si sta  facendo, perché nuove ed  ancora incomplete capacità non faranno altro che dare  un’iniziale  impressione di “stare andando all’indietro, invece che in avanti”.   Quando ci si concentra sulla meccanica della bracciata, altri nuotatori  che di  solito si riesce a “battere” in allenamento potrebbero essere  più competitivi.  In questi momenti occorre rimanere concentrati  sull’obiettivo finale: nuotare  più velocemente in gara, sprecando meno  energie! Provare a “vincere” gli  allenamenti potrebbe costare caro  quando poi vincere davvero  conta.
 
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